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Bonifica sito inquinato – La preliminare messa in sicurezza di emergenza

La preliminare messa in sicurezza del sito inquinato costituisce una misura idonea ad evitare ulteriori danni e la diffusione dei fenomeni di inquinamento ambientale e rientra pertanto nel genus delle misure precauzionali; non avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, tale misura, data la sua sostanziale natura di atto urgente, non presuppone affatto l’individuazione dell’eventuale responsabile.

T.A.R. Marche Ancona, Sez. I, 17/05/2023, n. 310

La proprietaria di un terreno di circa 22 ettari in agro del Comune di Montecosaro (MC) proponeva ricorso al TAR Marche per l’annullamento, in parte qua, 1) della delibera della Conferenza di Servizi decisoria del 4/8/2005 istituita presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio recante ordine di immediata attivazione di idonee misure di messa in sicurezza di emergenza, con priorità nei confronti dall’asportazione del percolato rinvenuto durante le indagini, e di trasmettere il piano di caratterizzazione dell’area; 2) dell’ordinanza N. 65 del 4/11/2005 emessa dal Sindaco del Comune di Montecosaro e recante analoghe disposizioni.

Sosteneva la ricorrente di essere divenuta proprietaria del terreno, iure ereditatis, soltanto nel novembre del 2002 e che i provvedimenti impugnati,emessi per la bonifica di detto appezzamento, erano stati rivolti, decenni addietro, al proprio dante causa. Detti terreni, infatti, erano stati in passato utilizzati come discarica di rifiuti. Gli atti oggetto di impugnazione, infatti, rientravano da molto tempo nel solco dell’annosa procedura di bonifica del sito di interesse nazionale del basso bacino del Fiume Chienti.

Nello specifico, con la delibera della Conferenza di servizi decisoria del 4/08/2005 istituita presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio, veniva stabilito quanto segue: “atteso lo stato generale di inquinamento dell’area dalla presenza di varie tipologie di rifiuti, deliberano di richiedere al soggetto privato interessato, ai sensi dell’art. 15 del D.M. n. 471 del 1999, di procedere alla immediata attivazione di idonee misure di messa in sicurezza di emergenza, con priorità nei confronti dall’asportazione del percolato rinvenuto durante le indagini, e di trasmettere, entro il 15/10/05, il piano di caratterizzazione dell’area da redigere in conformità a quanto riportato negli allegati I e II delle Linee guida per la realizzazione del piano della caratterizzazione delle aree private redatto da ARPAM unitamente alle prescrizioni integrative riportate al punto 3 all’ordine del giorno. In caso di inadempienza da parte del soggetto interessato, i partecipanti all’odierna Conferenza di Servizi decisoria deliberano, inoltre, di richiedere al Comune di Montecosaro di porre in essere, previa diffida, i previsti poteri sostitutivi in danno ai sensi dell’art. 15 del D.M. n. 471 del 1999. L’odierna Conferenza di servizi decisoria delibera, infine, di richiedere ad ARPAM di relazionare in dettaglio sull’efficacia e sull’efficienza di tale attività di messa in sicurezza di emergenza”.

Di poi, data l’inerzia della proprietà dei terreni -confermata da specifica attività ispettiva della Polizia Municipale con verbale del 5/09/2005 secondo cui il comportamento della ditta proprietaria non aveva impedito la prolungata serie di episodi di abbandono fino a configurare una discarica abusiva- il Comune di Montecosaro adottava l’ordinanza N. 65 del 4/11/2005 con cui intimava alla ricorrente di effettuare appropriati interventi di messa in sicurezza di emergenza con priorità nei confronti dall’asportazione del percolato e di presentare il piano di caratterizzazione del sito.

La ricorrente, a supporto dei motivi di doglianza opposti contro detta ordinanza comunale, avanzava un’istanza istruttoria tesa a dimostrare l’esistenza di una delibera della Giunta Municipale, N. 89 del 5/08/1975, con la quale la stessa amministrazione comunale aveva preso in affitto l’area in questione “dove temporaneamente, nelle more di cercare una migliore soluzione, si è iniziata l’attività di deposito dei rifiuti”.

Secondo la ricorrente l’acquisizione di tutti gli atti e i documenti relativi a tale vicenda avrebbe dimostrato la propria totale estraneità ai fatti che avevano dato luogo ai provvedimenti impugnati.

Secondo il giudizio del Collegio tale acquisizione risultava, invece, irrilevante ai fini del decidere in quanto anche se nel 1975 il Comune aveva affittato l’area per l’allocazione di alcuni rifiuti urbani, detta attività era stata del tutto temporanea (come da delibera N. 89 del 1975, poi revocata), mentre alla ricorrente (ed al suo dante causa) erano stati contestati la volontaria prosecuzione dell’esercizio della discarica sino all’anno 2005 (come dimostrato dal verbale di sequestro del 9/04/2005 da cui risultava che nell’area in questione erano stati smaltiti non solo i rifiuti urbani ma anche altre tipologie di rifiuti come rottami di automezzi, materiale ferroso, scarti di fonderia, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del settore calzaturiero, fusti metallici, cavi elettrici, bombole del gas da cucina, materiale inerte da demolizione edile, coperture in cemento amianto, filtri dell’olio automobilistico e segni evidenti di combustione di rifiuti).

Dallo stesso verbale risultava che l’area era recintata ed il cancello era munito di lucchetto le cui chiavi erano tenute dalla ricorrente.

Per detti motivi l’istanza veniva respinta.

Quanto ai motivi di ricorso, la ricorrente col primo motivo deduceva la violazione e la falsa applicazione dell’art. 7, comma 1, della L. n. 241 del 1990, dell’art. 17, comma 9, del D.Lgs. n. 22 del 1997, degli artt. 8, comma 4, e 14 del D.M. n. 471 del 1999, nonché eccesso di potere per difetto istruttorio e violazione delle garanzie partecipative.

In particolare, la ricorrente deduceva che non poteva essere ritenuta responsabile dell’inquinamento poiché era divenuta proprietaria dell’area, pervenutale per successione dopo la morte del padre, soltanto nel 2002. Di conseguenza, se fossero state osservate le garanzie partecipative attraverso la doverosa comunicazione di avvio del procedimento, avrebbe potuto fornire elementi utili per escludere la propria responsabilità e per favorire l’individuazione degli effettivi responsabili dell’inquinamento.

Queste censure non venivano accolte.

Secondo il Collegio, infatti, non erano dovute ulteriori comunicazioni di avvio del procedimento in quanto l’area era già stata oggetto di sequestro, nell’aprile 2005, e di molteplici sopralluoghi, in epoche più recenti, ai quali avevano partecipato sia la proprietaria che i propri difensori.

La ricorrente, dunque, era a conoscenza del procedimento essendo in quel momento proprietaria dell’area che ha subito il sequestro.

Peraltro, si trattava di una vicenda non recente che partiva da molto lontano e che già era stata oggetto di analoghi atti rivolti al dante causa.

La ricorrente, dunque, ben avrebbe potuto offrire, alle amministrazioni precedenti, tutti gli elementi a propria disposizione per contribuire al corretto svolgimento dell’istruttoria.

Con il secondo motivo di doglianza la ricorrente contestava l’ordinanza comunale del 4/11/2005, N. 65, per violazione dell‘art. 17, comma 9, del D.Lgs. n. 22 del 1997 e degli artt. 8, comma 4, e 14 del D.M. n. 471 del 1999. In particolare, eccepiva che tale provvedimento poteva essere emesso soltanto nei confronti del responsabile dell’inquinamento secondo il principio “chi inquina paga” ma non al proprietario incolpevole.

Anche questa censura veniva considerata infondata.

Secondo il Collegio, la gravata ordinanza comunale N. 65/2005 nulla imponeva se non quanto già prescritto dalla Conferenza di Servizi decisoria del 4/8/2005. L’ordinanza, infatti, prescriveva i medesimi interventi di messa in sicurezza di emergenza, al fine di impedire nuove contaminazioni ed ovviare il propagarsi degli inquinanti già presenti (in primis l’asportazione del percolato) e di presentare il piano di caratterizzazione del sito.

Come già chiarito dalla giurisprudenza, in materia di ambiente, la preliminare messa in sicurezza del sito inquinato costituisce una misura idonea ad evitare ulteriori danni e la diffusione dei fenomeni di inquinamento ambientale e rientra pertanto nel genus delle misure precauzionali: non avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, tale misura, data la sua sostanziale natura di atto urgente, non presuppone affatto l’individuazione dell’eventuale responsabile (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 14/4/2016, n. 1509; TAR Campania, Napoli, Sez. V, 8/8/2022 n. 5324; TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis, 24/5/2021 n. 6046; TAR Marche, 8/2/2021 n. 102).

Quanto ai motivi aggiunti la ricorrente deduceva l’incompetenza del Sindaco ad adottare l’ordinanza N. 65/2005 poiché non espressione del potere atipico di cui all’art. 50 del TUEL ma del potere tipico di cui all’art. 17 del D.Lgs. n. 22 del 1997 e dell’art. 8 del D.M. n. 471 del 1999.

Anche questa doglianza era respinta.

Il Tribunale evidenziava che l’ordinanza era stata emessa anche in forza degli artt. 50 e 54 del D.Lgs. n. 267 del 2000 e configurava un provvedimento sollecitatorio di diffida motivato dal pericolo di inquinamento della falda acquifera.

Sussistevano dunque tutti i presupposti per l’adozione di un provvedimento contingibile ed urgente di competenza del Sindaco.

Per questi motivi il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima) respingeva il ricorso.

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