L’imposizione di condizioni ambientali ex art. 25, comma 4, TUA, è un’evenienza fisiologica nel procedimento di V.I.A.

L’imposizione di prescrizioni e di condizioni ambientali è un’evenienza fisiologica nel procedimento di V.I.A.. La lettera dell’art. 25, comma 4, del D.Lgs. n. 152 del 2006, prevede che il provvedimento di VIA possa prescrivere “eventuali e motivate condizioni ambientali” che fissano modalità e misure per il monitoraggio degli impatti ambientali significativi e negativi. L’imposizione di prescrizioni e di condizioni ambientali è quindi un’evenienza fisiologica tutt’altro che remota e non richiede la rinnovazione del procedimento autorizzatorio a meno che non vengano introdotte modifiche “sostanziali” che invece debbono valutarsi seguendo il procedimento disciplinato dal successivo art. 29 novies. Non vanno ritenute sostanziali quelle prescrizioni che disciplinano la fase di esercizio dell’attività oppure dettagli della progettazione esecutiva che sono elementi che esulano dalla nozione di modifica sostanziale.

Nel giudizio di valutazione di impatto ambientale, l’Amministrazione esercita un’ampia discrezionalità che non è limitata al mero giudizio tecnico suscettibile di verificazione sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo margini e profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione alla valutazione degli interessi pubblici e privati coinvolti. “Le posizioni soggettive delle persone e degli enti coinvolti nella procedura sono pacificamente qualificabili in termini di interesse legittimo ed è altrettanto assodato che le relative controversie non rientrano nel novero delle tassative ed eccezionali ipotesi di giurisdizione di merito sancite oggi dall’art. 134 c.p.a.”

Sentenza Consiglio di Stato Sez. IV n. 5670 del 7 luglio 2022

La “Società … R.”, operante nel settore della gestione dei rifiuti, proponeva ricorso per la riforma della sentenza del T.A.R. per la Puglia (sezione seconda) n. 1387 del 23 settembre 2021.

Il Comune di Trani aveva, infatti, impugnato la determinazione della Provincia di Bari che autorizzava l’installazione di un impianto di trattamento F.O.R.S.U. con produzione di biometano ed ammendante di qualità.

Il Comune aveva dedotto, innanzi al T.A.R., due motivi di gravame: l’eccesso di potere sotto il profilo della carenza istruttoria e motivazionale, violazione e errata applicazione degli  artt. 27 bis  e 208 D.Lgs. n. 152 del 2006, erronea presupposizione in fatto e in diritto, violazione del giusto procedimento e l’eccesso di potere, carenza istruttoria e vizio di motivazione, contraddittorietà e irragionevolezza manifesta, violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 25  e 27 bis D.Lgs. n. 152 del 2006.

Il T.A.R. accoglieva il primo motivo, dichiarava inammissibile il secondo motivo ed annullava il provvedimento impugnato (l’autorizzazione della Provincia) e gli atti presupposti (ovverosia i pareri favorevoli ma condizionati dell’ARPA e del Comitato Tecnico provinciale) compensando le spese di lite.

La sentenza del T.A.R. veniva impugnata dalla Società soccombente con tre mezzi di gravame.

Con il primo motivo deduceva che il ricorso avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile e irricevibile, avendo il Comune omesso di impugnare tempestivamente la determinazione conclusiva della Conferenza di Servizi adottata il 20 novembre 2019.

Con il secondo motivo censurava, nel merito, l’accoglimento del primo motivo di ricorso.

Secondo il T.A.R., infatti, l’apposizione di prescrizioni nell’autorizzazione, per quantità e qualità, dimostrava che l’Amministrazione non avrebbe valutato compiutamente “i dettagli relativi al contenimento dell’impatto ambientale”.

L’appellante, invece, evidenziava che, il T.A.R. non aveva operato un corretto inquadramento giuridico della natura e della funzione delle c.d. “prescrizioni” o “condizioni ambientali”.

Secondo la Società, l’inserimento di prescrizioni nelle autorizzazioni ambientali è una facoltà riconosciuta alla p.a. quale ordinario modus procedendi, trattandosi di un “istituto che per la consolidata giurisprudenza risponde al principio del buon andamento della azione amministrativa, potendosi così semplificare il procedimento, fermi restando gli interessi pubblici da soddisfare” (Cons. Stato, Sez. IV, 15 giugno 2021, n. 4637). in buona sostanza l’imposizione di prescrizioni e di condizioni ambientali è un’evenienza fisiologica nel procedimento di V.I.A.

Il numero e il contenuto delle prescrizioni sono espressione di scelte valutative discendenti dall’applicazione di cognizioni tecnico-scientifiche, proprie di settori specialistici, caratterizzate da ampi margini di opinabilità e riservate all’Amministrazione.

Ad avviso della ricorrente, il primo giudice, nel caso di specie, avrebbe poi travisato le valutazioni delle Amministrazioni intervenute nel corso del procedimento e avrebbe altresì omesso di specificare in quale parte e in quale misura l’articolato prescrittivo avrebbe introdotto nel progetto variazioni sostanziali non adeguatamente valutate sotto il profilo degli impatti previsti.

Di contro – come chiaramente esplicitato nell’allegato “A” alla determinazione della Provincia n. 31 del 22 gennaio 2020 – le prescrizioni tecniche impartite dagli Enti convenuti non avevano determinato una modifica sostanziale del progetto in esame.

Esse, in verità, erano volte e limitate: i) a confermare e/o a richiamare elementi già presenti negli elaborati progettuali, in qualche caso specificando dettagli meramente esecutivi; ii) oppure a fornire indicazioni meramente operative e/o gestionali in ordine alle modalità e/o alla tempistica con le quali avrebbe dovuto essere effettuato il monitoraggio dei parametri di processo riportati negli elaborati progettuali; iii) ovvero ancora a prescrivere l’implementazione, in fase esecutiva, di ordinari presidi ambientali, quali: barriera arborea verde a recinzione dell’impianto; colori e cromie delle opere; installazione di una barriera ad aria sui portoni automatici; installazione di un impianto di nebulizzazione perimetrale; lieve modifica del posizionamento di alcune bocchette di aerazione.

Nell’ambito della Conferenza di Servizi, l’unico parere contrario era rimasto quello del Comune, che, traltro, era fondato su finalità estranee alla tutela dell’interesse pubblico alla corretta localizzazione dell’impianto.

Con il terzo motivo di appello la Società analizzava, in dettaglio, il contenuto delle prescrizioni e ribadiva che le stesse non avevano comportato alcuna modifica del progetto sotto i profili: i) del dimensionamento dell’impianto; ii) della capacità di trattamento; iii) dei codici CER relativi ai rifiuti trattati; iv) del processo di funzionamento; v) del bilancio di massa; vi) delle emissioni in atmosfera; vii) della produzione di biometano e di compost.

Costituitosi il Comune di Trani, depositate memoria difensiva, memorie conclusive e di replica il Collegio così decideva.

Per ragioni di economia dei mezzi processuali e semplicità espositiva, secondo la logica affermata dalla decisione della Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015, il Collegio esaminava direttamente i motivi articolati in primo grado (sul principio e la sua applicazione pratica, fra le tante, cfr. sez. IV, n. 1137 del 2020 ; sez. IV n. 1130 del 2016, sez. V n. 5868 del 2015; sez. V n. 5347 del 2015 che esclude in radice che tale modus procedendi possa dare corso ad un vizio revocatorio per errore di fatto).

Secondo la logica della ragione più liquida (cfr. Ad. plen. n. 5 del 2015, 5.3. lett.a), poteva infatti prescindersi dall’esame delle eccezioni di inammissibilità e irricevibilità del ricorso di primo grado, riproposte con il primo mezzo dell’appello, in considerazione della infondatezza, nel merito, del ricorso di primo grado medesimo.

In primo luogo, infatti, il Collegio osservava che le deduzioni articolate in primo grado si fondavano su un non corretto inquadramento, dal punto di vista teorico, della natura e della funzione delle c.d. “prescrizioni” o “condizioni ambientali”.

In linea generale l’apposizione di elementi accidentali al provvedimento amministrativo è consentita “purché essa non determini una violazione del principio di legalità (e dei suoi corollari) e non distorca la finalità per la quale il potere è stato attribuito all’amministrazione”. Come si vedrà , infatti, l’imposizione di prescrizioni e di condizioni ambientali è un’evenienza del tutto fisiologica nel procedimento di V.I.A.

Costituirebbe infatti “inutile aggravio procedurale (perché non bilanciato da una sufficiente ragione di interesse pubblico) l’arresto di un procedimento, che può invece proseguire sotto la condizione sospensiva del perfezionamento di altra procedura presupposta” (in termini, Cons. Stato, sez. IV, 16 giugno 2020, n. 3869; nello stesso senso ex plurimis sez. VI, 6 novembre 2018, n. 6265, sez. VI, 10 dicembre 2015, n. 5615; sez. IV, 25 giugno 2013, n. 3447; sez. IV, 25 novembre 2011, n. 6260; sez. V, 29 novembre 2004, n. 7762);

Con specifico riferimento alle prescrizioni ambientali, come più volte sottolineato dalla Sezione (con particolare riguardo al procedimento di VIA), “una valutazione condizionata di impatto costituisce un giudizio, allo stato degli atti, integrato dall’indicazione preventiva degli elementi capaci di superare le ragioni del possibile dissenso, in ossequio ai principi di economicità dell’azione amministrativa e di collaborazione tra i soggetti del procedimento” (sez. IV, 27 marzo 2017, n. 1392; 16 marzo 2005, n. 1102; cfr. successivamente la sentenza n. 3597 del 2021).

Sul piano del diritto positivo, da ultimo, in attuazione della direttiva 2014/52/UE, il D.Lgs. n. 104 del 2017 ha introdotto nell’ordinamento nazionale il concetto di “condizione ambientale”, non più limitata ai soli “requisiti per la realizzazione del progetto” ovvero alle “misure per prevenire, ridurre e compensare gli impatti ambientali negativi“, ma estesa anche alla descrizione puntuale delle misure di monitoraggio ambientale (art. 5 , lett. o) – quater), del D.Lgs. n. 152 del 2006, come introdotto dal D.Lgs. n. 104 del 2017).

Correlativamente la nuova formulazione dell’art. 25, comma 4, del D.Lgs. n. 152 del 2006, prevede che il provvedimento di VIA contenga eventuali e motivate “condizioni ambientali” che definiscono, tra l’altro, le misure per il monitoraggio degli impatti ambientali significativi e negativi.

Anche la disciplina del provvedimento di autorizzazione integrata ambientale (AIA) è caratterizzata dalla previsione relativa all’apposizione di prescrizioni da parte dell’Autorità procedente, le quali integrano il contenuto dell’autorizzazione, risultando finalizzate al conseguimento di “un livello elevato di protezione dell’ambiente nel suo complesso” (art. 29 – sexies, comma 1).

Il comma 9 della disposizione testé richiamata reca poi una clausola generale secondo cui, oltre a quelle tipizzate, l’AIA “può contenere ulteriori condizioni specifiche ai fini del presente decreto, giudicate opportune dell’autorità competente. Ad esempio, fermo restando l’obbligo di immediato rispetto dei precedenti commi e in particolare del comma 4-bis, l’autorizzazione può disporre la redazione di progetti migliorativi, da presentare ai sensi del successivo articolo 29-nonies, ovvero il raggiungimento di determinate ulteriori prestazioni ambientali in tempi fissati, impegnando il gestore ad individuare le tecniche da implementare a tal fine. In tale ultimo caso, fermo restando l’obbligo di comunicare i miglioramenti progettati, le disposizioni di cui all’articolo 29-nonies non si applicano alle modifiche strettamente necessarie ad adeguare la funzionalità degli impianti alle prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale“.

L’apposizione di prescrizioni è quindi un’evenienza del tutto fisiologica e non richiede la rinnovazione del procedimento autorizzatorio, eccezion fatta per l’ipotesi dell’introduzione di modifiche “sostanziali” da valutarsi secondo il procedimento disciplinato dal successivo art. 29 – nonies del codice dell’ambiente (cfr. da ultimo sez. IV, n. 4355 del 2022).

La definizione di “modifica sostanziale” è contenuta nell’art. 5, comma 1, lettera l -bis) del codice.

Per essa si intende “la variazione delle caratteristiche o del funzionamento ovvero un potenziamento dell’impianto, dell’opera o dell’infrastruttura o del progetto che, secondo l’autorità competente, producano effetti negativi e significativi sull’ambiente o sulla salute umana. In particolare, con riferimento alla disciplina dell’autorizzazione integrata ambientale, per ciascuna attività per la quale l’allegato VIII indica valori di soglia, è sostanziale una modifica all’installazione che dia luogo ad un incremento del valore di una delle grandezze, oggetto della soglia, pari o superiore al valore della soglia stessa”.

 Nel caso di specie, il Collegio rilevava, altresì, che, anche in punto di fatto, le affermazioni del primo giudice non sono corrette.

L’esame della documentazione in atti evidenzava infatti che, nella seduta conclusiva della conferenza di servizi (del 20 settembre 2011), l’unico parere contrario era quello del Comune di Trani che risultava fondato esclusivamente su ragioni di carattere urbanistico.

Al riguardo, il Collegio riteneva opportuno ricordare che, ai sensi dell’art. 6, comma 14, del D.Lgs. n. 152 del 2006, “Per le attività di smaltimento o di recupero di rifiuti svolte nelle installazioni di cui all’articolo 6, comma 13, anche qualora costituiscano solo una parte delle attività svolte nell’installazione, l’autorizzazione integrata ambientale, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 29-quater, comma 11, costituisce anche autorizzazione alla realizzazione o alla modifica, come disciplinato dall’articolo 208″.

Secondo la disposizione testé menzionata l’approvazione da parte della Regione, o dell’ente dalla stessa delegato (nel caso di specie la provincia), autorizza la realizzazione e gestione dell’impianto. L’approvazione sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali, costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori (comma 6).

Inoltre, come più volte rilevato dalla sezione, in seno alla Conferenza di servizi l’eventuale dissenso del Comune non ha carattere qualificato in quanto trattasi di Amministrazione non specificamente preposta alla tutela di interessi paesistico-ambientali o della salute (cfr., ad es., la sentenza n. 2733 del 29 aprile 2020).

Nel caso di specie, il dissenso comunale è stato pertanto superato sulla scorta delle posizioni prevalenti emerse, ai sensi dell’art. 14 – ter della L. n. 241 del 1990 e dell’art. 27 – bis del D.Lgs. n. 152 del 2006 (pag. 6 della determinazione conclusiva).

Nello specifico, al contrario di quanto ritenuto dal T.A.R., anche l’A.P. rendeva parere favorevole, sia pure con prescrizioni, “avendo la società sostanzialmente riscontrato” le precedenti richieste di documentazione tecnica integrativa del progetto (pag. 2 del verbale della seduta conclusiva del 20 novembre 2019).

L’Agenzia aveva espressamente ritenuto “approvabile ai fini del rilascio dell’AIA” anche il Piano di monitoraggio e controllo presentato dalla società, sia pure con le integrazioni e revisioni richieste .

Al riguardo, doveva poi convenirsi con l’appellante che tale Piano non atteneva alla configurazione dell’impianto, quanto esclusivamente alle procedure di monitoraggio e controllo da attuare in fase esecutiva e di esercizio (cfr., in tale senso, il cit. art. 29 – sexies, commi 6 e ss.).

La Società aveva, inoltre, comprovato di avere inviato una prima versione del Piano nel settembre del 2019 (che era poi quella esaminata e valutata come “approvabile”) e una seconda versione, nel novembre 2019, in ottemperanza alle prescrizioni dell’AIA.

Infine, anche il Comitato provinciale, con il parere del 23 ottobre 2019, riteneva assentibile la proposta progettuale ai fini del rilascio dell’AIA “nel rispetto delle seguenti prescrizioni che dovranno essere opportunamente ricomprese nel PM&C e nel piano di gestione operativa dell’impianto“.

Alla luce del quadro normativo ed esegetico di riferimento, e delle circostanze di fatto, secondo il Consiglio di Stato il giudizio del T.A.R., in ordine alle condizioni apposte all’AIA – quali sintomatiche (sotto il profilo quantitativo e qualitativo), di una alterazione del nucleo essenziale del progetto e di un conseguente difetto di motivazione o di istruttoria -, non aveva fondamento. Anzi, come già detto, l’imposizione di prescrizioni e di condizioni ambientali è un’evenienza fisiologica nel procedimento di V.I.A.

L’appellante, al riguardo, aveva puntualmente dimostrato che le prescrizioni valorizzate dal primo giudice riguardavano la fase di esercizio dell’attività ovvero dettagli della progettazione esecutiva, i quali esulavano dalla nozione, in precedenza richiamata, di “modifica sostanziale” dell’autorizzazione integrata ambientale. L’imposizione di prescrizioni e di condizioni ambientali è un’evenienza fisiologica nel procedimento di V.I.A. e del tutto consentita se non comporta introduzione di modifiche sostanziali.

Andava peraltro evidenziato che, semmai, spettava alla parte ricorrente in primo grado comprovare che, per effetto del quadro prescrittivo, vi era stata l’alterazione del nucleo originario del progetto e, con essa, dei parametri ambientali oggetto di valutazione.

Tuttavia, le deduzioni svolte dal Comune in primo grado risultavano generiche ed avulse dall’esame, specifico e concreto, della documentazione progettuale.

Il Consiglio, infine, aggiungeva (pur non essendo stato interposto dal Comune appello incidentale) che le restanti censure di primo grado erano effettivamente inammissibili poiché impingevano nel merito delle valutazioni ampiamente discrezionali riservate alle Autorità competenti in materia.

Al riguardo, il Collegio richiamava le argomentazioni svolte dalla Sezione nella sentenza n. 1761 del 14 marzo 2022 e con esse la consolidata giurisprudenza secondo cui, nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale, l’Amministrazione esercita una amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti. Sicché l’imposizione di prescrizioni e di condizioni ambientali è un’evenienza fisiologica nel procedimento di V.I.A.

Le posizioni soggettive delle persone e degli enti coinvolti nella procedura sono pacificamente qualificabili in termini di interesse legittimo ed è altrettanto assodato che le relative controversie non rientrano nel novero delle tassative ed eccezionali ipotesi di giurisdizione di merito sancite oggi dall’art. 134 c.p.a.” (cfr., sotto l’egida della precedente normativa, identica in parte qua, Cons. St., ad. plen., 9 gennaio 2002, n. 1).

Premesso che a seguito della storica decisione di questo Consiglio, è pacifico che il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici dell’amministrazione possa svolgersi attraverso la verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni compiute da quest’ultima, sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo, è necessario precisare che il controllo del giudice amministrativo sulle valutazioni discrezionali deve essere svolto nei limiti della rilevabilità ictu oculi dei vizi di legittimità dedotti, essendo diretto ad accertare il ricorrere di seri indici di invalidità e non alla sostituzione dell’amministrazione” (cfr. sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601).

Tale sindacato deve poi tenere distinti i profili meramente accertativi da quelli valutativi (a più alto tasso di opinabilità) rimessi all’organo amministrativo, potendosi esercitare più penetranti controlli, anche mediante c.t.u. o verificazione, solo avuto riguardo ai primi” (Cons. Stato, sez. V, n. 1640 del 2012; successivamente si vedano sez. IV, n. 7384 del 2021; n. 3597 del 2021; n. 1714 del 2021).

“Il sindacato del giudice amministrativo in materia è pertanto necessariamente limitato alla manifesta illogicità e incongruità, al travisamento dei fatti o a macroscopici difetti di istruttoria o di motivazione” (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. II, n. 5451 del 2020; sez. II, n. 5379 del 2020; sez. V, n. 1783 del 2013; sez. VI, n. 458 del 2014).

Il Collegio accoglieva l’appello. Ne conseguiva, in riforma parziale della sentenza impugnata, la reiezione del ricorso articolato in primo grado.


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