scarico industriale in corpo idrico superficiale

RIFIUTI – Gestione rifiuti- I rifiuti allo stato liquido sono costituiti da acque reflue di cui il detentore si disfa senza convogliarle direttamente in corpi idrici ricettori.

I rifiuti allo stato liquido, diversamente dagli scarichi di acque nere, nei quali non v’è soluzione di continuità tra il momento della produzione e quello dello sversamento, sono costituiti da acque reflue di cui il detentore si disfa senza convogliarle direttamente in corpi idrici ricettori, ma avviandole allo smaltimento, al trattamento o alla depurazione a mezzo di trasporto, sicché la gestione degli stessi deve essere autorizzata, anche se il produttore intende destinarli al recupero. (Fattispecie relativa a liquidi contenenti inchiostro, derivanti da processo di lavorazione industriale, con espletamento di attività di stoccaggio, trattamento e smaltimento, in cui la Corte ha escluso il collegamento del ciclo produttivo con il corpo recettore, così giustificando la loro natura di rifiuto).

Fonte: CED Cass. pen. 2024

Cassazione penale sez. III – 30/05/2024, n. 34232

Il rappresentante legale di una Società veniva condannato dal Tribunale di Ancona, al pagamento di una ammenda (pena sospesa) per il reato p.e.p. dall’art. 256, comma 1, lettera a), del D.Lgs. n. 152 del 2006, perché abbandonava e depositava in maniera incontrollata, in un fiume, rifiuti liquidi acquosi contenenti inchiostro, che percolavano nella tubazione delle acque chiare o miste, raggiungendo così il suddetto corso d’acqua.

Avverso la sentenza l’imputato proponeva ricorso per cassazione chiedendone l’annullamento per sette motivi di doglianza.

La Cassazione dichiarava il ricorso inammissibile.

La Sezione trattava congiuntamente i primi tre motivi di impugnazione perché sostanzialmente attinenti alla pretesa nullità del verbale di sopralluogo, del campionamento e del prelievo ARPAM in quanto asseritamente effettuati senza le dovute garanzie previste per gli accertamenti tecnici non ripetibili. Per i motivi vergati in sentenza -alla cui lettura si rinvia- i tre motivi venivano considerati inammissibili.

Anche riguardo alle motivazioni di rigetto del quarto, sesto e settimo motivo, incentrati su aspetti procedurali, si rinvia alla lettura della sentenza.

Con il quinto motivo -di nostro preminente interesse- il ricorrente si doleva della violazione degli artt. 74, comma 1, lettere h), ff) e gg), 137, comma 5, 185, comma 2, lettera a), e 256, comma 1, lettera a), del D.Lgs. n. 152 del 2006, sul rilievo che il Tribunale avesse erroneamente qualificato il fatto nell’ambito della fattispecie di reato concernente l’effettuazione di un’attività di smaltimento di rifiuti liquidi non pericolosi in mancanza della prescritta autorizzazione, anziché in quella di cui all’art. 137, comma 5, del medesimo decreto, relativa all’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, in quantità superiori ai valori limite fissati nelle tabelle 3 e 4 dell’Allegato 5 del predetto decreto.

Il ricorrente, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale -secondo cui i liquidi sversati costituirebbero rifiuti perché derivanti da un processo di lavorazione e stoccaggio- sosteneva che si era trattato di un’immissione di acque di scarico provenienti dal ciclo di produzione tramite una tubazione, traboccante dal perimetro della Società.

Precisava, altresì, l’imputato che, vista la corretta qualificazione del fatto di reato sub art. 137, comma 5, del D.Lgs. n. 152 del 2006, nel capo di imputazione non sarebbe stato a lui contestato il superamento dei limiti previsti dalla predetta norma; di talché egli dovrebbe essere assolto perché il fatto non sussiste.

La Corte, come già detto, riteneva inammissibile la doglianza relativa all’erronea qualificazione del fatto ex art. 256, comma 1, lettera a), del D.Lgs. n. 152 del 2006, anziché sub art. 137, comma 5, del medesimo decreto, perché meramente reiterativa di argomenti contenuti nell’atto di appello, in mancanza di critiche specifiche di legittimità alla decisione impugnata, oltre che manifestamente infondata.

Secondo la Sezione, quanto alla (in)fondatezza della doglianza in esame, la prospettazione difensiva ometteva di confrontarsi con la sentenza impugnata, la quale correttamente rilevava, innanzitutto, l’errore terminologico contenuto nella notizia di reato, altresì specificando la necessità di fare esclusivo riferimento al capo di incolpazione, univoco, all’opposto, nel senso della corretta contestazione del reato di cui all’art. 256, comma 1, lettera a), del D.Lgs. n. 152 del 2006.

Quest’ultima disposizione, infatti, facendo esplicito riferimento all’abbandono incontrollato di rifiuti liquidi, fugava ogni dubbio circa la correttezza dell’avvenuta sussunzione del fatto di reato sotto la fattispecie dell’attività di gestione dei rifiuti non autorizzata, non potendosi conferire alcun rilievo al dato, di carattere atecnico, contenuto nella comunicazione di notizia di reato.

La Cassazione rilevava che, secondo quanto previsto dall’art. 74, comma 1, lettera ff), del D.Lgs. n. 152 del 2006, per “scarico” deve intendersi “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo recettore in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro matrice inquinante”.

Mentre lo scarico, dunque, avviene senza soluzione di continuità tra il momento della produzione del refluo ed il suo sversamento, i rifiuti allo stato liquido sono le acque reflue di cui il detentore si disfa, senza versamento diretto, ma avviandole allo smaltimento, trattamento o depurazione a mezzo di trasporto, in quanto, a differenza degli scarichi di reflui liquidi, non vengono convogliati in via diretta in corpi idrici ricettori; con la conseguenza che lo smaltimento di tali rifiuti deve essere autorizzato, anche se il produttore intende destinarli al recupero.

Ebbene, poste queste premesse, nella specie, non poteva ritenersi sussistente alcuna fattispecie di scarico, essendo le acque destinate allo stoccaggio.

Come correttamente rilevato dal Tribunale di Ancona, infatti, nel caso in esame, le acque di processo e lavorazione venivano previamente stoccate immagazzinate e pompate in serbatoi di rilancio quindi inviate ad apposite cisterne di stoccaggio ed in ultimo avviate allo smaltimento, così interrompendosi quel collegamento funzionale e diretto delle acque reflue di lavorazione con il corpo recettore, necessario affinché possa parlarsi di scarico di acque nere e non già di rifiuti liquidi.

In buona sostanza ciò che la Corte rilevava e ribadiva era che la soluzione di continuità – cui l’art. 74, comma 1, lettera ff), del D.Lgs. n. 152 del 2006 fa riferimento, ancorché in termini negativi, affinché possa parlarsi di scarico, e non di rifiuto – è data, nella fattispecie, proprio dall’espletamento, sui predetti liquidi, di attività di stoccaggio, trattamento e smaltimento, le quali, anche laddove dovesse verificarsi un effettivo sversamento, comunque escludono un collegamento del ciclo produttivo con il corpo recettore, così giustificando la qualificazione dei liquidi in esame in termini di rifiuto.