SCARICHI IDRICI- Se l’immissione delle acque reflue al corpo recettore avviene tramite un sistema di collettamento stabile si configura reato di scarico non autorizzato e non si applica la disciplina sui rifiuti.

In materia di inquinamento idrico (per integrare il reato ex artt. 124 e 137, comma 1, del T.U.A.) costituisce scarico non autorizzato di acque reflue industriali qualsiasi immissione delle stesse che avviene attraverso un sistema stabile di collettamento che colleghi senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore nelle acque superficiali.

Lo scarico è un’immissione che viene effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo recettore in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro matrice inquinante (art. 74, c. 1, lett. F, del D.lgs. 152/2006).

La Cassazione ha rilevato la necessità del collettamento stabile delle acque per individuare la differenza fra l’applicazione della disciplina sulle acque e quella dell’illecita gestione di rifiuti. La stabilità del collettamento non va in ogni caso confusa con la presenza, continuativa nel tempo, dello stesso sistema di riversamento, in contrasto con l’occasionalità del medesimo: al contrario, va identificata nella presenza di una struttura che assicuri il progressivo riversamento di reflui da un punto all’altro.

Pertanto, la disciplina delle acque sarà applicabile in tutti i casi in cui si è in presenza di uno scarico, anche se soltanto periodico, discontinuo o occasionale, di acque reflue, in uno dei corpi recettori specificati dalla legge ed effettuato tramite condotta, tubazioni, o altro sistema stabile nei termini suddetti. In tutti gli altri casi ove manchi il nesso funzionale e diretto delle acque reflue col corpo recettore si applicherà, invece, la disciplina sui rifiuti.

Fonte: Guida al diritto 2023, 15

Cassazione penale sez. III – 02/02/2023, n. 5738

Il Tribunale condannava il titolare di un frantoio oleario in relazione al reato ex art. 137, comma 1, D.Lgs. 152 del 2006, alla pena di Euro 1000,00 di ammenda.

Avverso la predetta sentenza il frantoiano proponeva ricorso il deducendo due motivi di impugnazione.

Con il primo motivo, deduceva vizi di motivazione di manifesta illogicità conseguenti alla errata interpretazione delle norme, per la assenza di uno scarico di reflui, quale sistema stabile di collettamento, a fronte di uno sversamento occasionale avvenuto per forza maggiore ovvero per l’intensità delle piogge che avrebbero impedito all’imputato di trasportare i reflui sui terreni a ciò autorizzati. In tale quadro mancherebbe anche il dolo del reato.

Con il secondo, il vizio di violazione di legge e di motivazione in ordine al reato contestatogli, a fronte di uno sversamento non prevedibile, al più provocato per negligenza, così da non potersi pretendere la presentazione di una richiesta di autorizzazione. Ribadiva, altresì, l’assenza di uno scarico integrante la fattispecie ascritta  oltre alla mancanza della descrizione di ciò che sarebbe stato sversato anche in assenza di prelievi e analisi di campioni.

I due motivi proposti, attenendo entrambi al tema della ricostruzione dei requisiti della fattispecie contestata, venivano esaminati congiuntamente dalla Corte.

Secondo il Collegio, la descrizione del fatto operata dall’imputato e valorizzata dal Tribunale, quale il riversamento di reflui industriali provenienti dal frantoio oleario in terreni prossimi alla vasca di accumulo, a fronte del non agevole raggiungimento mediante il carro botte, dei terreni autorizzati al medesimo sversamento, non dà conto delle specifiche modalità di sversamento del refluo esistente nella vasca, dandosi solo atto della circostanza per cui lo stesso imputato avrebbe ammesso il riversamento dei reflui predetti. Laddove le modalità in concreto seguite, per lo sversamento, segnano invece l’imprescindibile criterio per stabilire se vi sia stato scarico di reflui piuttosto che un abbandono o ancor più in generale uno smaltimento non autorizzato di rifiuti.

Va in proposito ricordato che in tema di inquinamento idrico, ai fini della integrazione del reato di cui agli art. 124, comma 1 e art. 137, comma 1 del D.Lgs. n. 152 del 2006, costituisce scarico non autorizzato di acque reflue industriali qualsiasi immissione delle stesse che deve tuttavia avvenire attraverso un sistema stabile di collettamento che colleghi senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali. (Sez. 3, Sentenza n. 24118 del 28/03/2017 Rv. 270305 – 01). Occorre precisare che la stabilità del collettamento non va in ogni caso confusa con la presenza, continuativa nel tempo, dello stesso sistema di riversamento, in contrasto con la occasionalità del medesimo, bensì va identificata nella presenza di una struttura che assicuri il progressivo riversamento di reflui da un punto all’altro, cosicché, in altri termini, la disciplina delle acque sarà applicabile in tutti quei casi nei quali si è in presenza di uno scarico, anche se soltanto periodico, discontinuo o occasionale, di acque reflue, in uno dei corpi recettori specificati dalla legge ed effettuato tramite condotta, tubazioni, o altro sistema stabile nei termini suddetti. In tutti gli altri casi, nei quali manchi il nesso funzionale e diretto delle acque reflue con il corpo recettore si applicherà, invece, la disciplina sui rifiuti (cfr., da ultimo Sez. 3 -, n. 11128 del 24/02/2021 Rv. 281567 – 01 nonché in motivazione, Sez. 3, n. 16623 del 08/04/2015 Rv. 263354.01).

Sulla base di queste considerazioni la Corte ha ritenuto che la sentenza impugnata dovesse essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale.